L’intelligenza emotiva gioca un ruolo fondamentale nella prestazione agonistica negli sport da combattimento.
Alcuni studi hanno indagato il ruolo delle emozioni degli atleti, dimostrando come essi abbiano livelli più alti di intelligenza emotiva rispetto a chi non pratica un’attività sportiva.
Gli sport da combattimento sono fondati su una fortissima relazione tra mente e corpo, tanto che l’intelligenza emotiva rappresenta uno dei punti chiave degli atleti che li praticano. Riconoscere le emozioni in sé stessi e negli altri e saperle utilizzare per gestire l’incontro con l’avversario è un aspetto fondamentale per il successo degli atleti negli sport da combattimento.
Nell’atleta evoluto (o maestro) gioca un ruolo fondamentale il meccanismo logico-inferenziale e la completezza del suo bagaglio tecnico ed esperenziale. Ciò permette all’atleta di elaborare soluzioni per il 99% delle situazioni tecnico/tattiche che si presentano, con azioni mirate, spesso imprevedibili ed efficaci.
Ad alti livelli le prestazioni fisiche si differenziano sempre meno, poiché si presuppone un grado di conoscenza dello sport completo. Quello che può fare la differenza è dato soprattutto dalla componente emotiva. Sviluppare questa abilità permette di codificare più facilmente lo stato d’animo di un avversario, rilevando paure, insicurezze e tensioni, che possono essere utilizzate a proprio vantaggio nello svolgimento di un match.
Cosa è l’intelligenza emotiva
Il concetto di intelligenza emotiva fu introdotto da Salovey e Mayer (1990) per descrivere “la capacità che hanno gli individui di monitorare le sensazioni proprie e quelle degli altri, discriminando tra vari tipi di emozione ed usando questa informazione per incanalare pensieri ed azioni”.
Il termine fu poi reso maggiormente popolare da Goleman mediante la pubblicazione del suo libro Intelligenza emotiva (1995) che descrive l’intelligenza emotiva come un insieme di competenze o caratteristiche che sono fondamentali per affrontare con successo la vita: autocontrollo, entusiasmo, perseveranza e capacità di automotivarsi. In seguito, Mayer e Salovey (1997) estesero la definizione includendo anche la capacità di percepire le emozioni, confrontare emozioni e sensazioni, capire le informazioni che derivano da queste emozioni ed essere in grado di maneggiarle.
Mayer (2008) individua quattro aspetti dell’intelligenza emotiva correlati agli sport da combattimento:
- la valutazione delle proprie emozioni, cruciale nel regolare il livello di arousal;
- la comprensione delle emozioni altrui, necessaria per prevedere le reazioni ed azioni dell’avversario;
- uso delle emozioni per mascherare e fingere le proprie emozioni ed usarle a proprio vantaggio durante il combattimento
- l’autoregolazione delle emozioni, per mantenere un appropriato livello di arousal e controllare la situazione.
L’intelligenza emotiva nello sport
Idea comune è che la mente svolga un ruolo fondamentale per quegli sport da combattimento derivati dalle arti marziali, come il Karate, il Tai Chi in cui l’allenamento mentale e spirituale è il percorso verso la prestazione fisica.
In altri sport invece, come ad esempio il Pugilato, la Kick Boxing o le più moderne arti marziali miste, l’idea è quella di discipline basate principalmente sulla forza e sulla resistenza fisica.
La questione tuttavia non è affrontabile con una mera classificazione. Negli sport da combattimento meno “marziali”, saper decodificare e utilizzare le emozioni in sé stessi e negli altri rappresenta una risorsa importantissima per la performance.
L’intelligenza emotiva è fondamentale per questi atleti, quale mezzo per regolare il proprio livello di arousal, comprendere lo stato mentale dell’avversario ed il proprio. Le emozioni, dunque, rappresentano una componente ineliminabile da qualsiasi sport; negli sport da combattimento possono rappresentare un ulteriore elemento di vulnerabilità o una risorsa se le si utilizza per autoregolare il proprio comportamento e il proprio livello di attivazione psicofisiologica.
Lo sport va a cercare la paura per dominarla, la fatica per trionfarne, la difficoltà per vincerla (Pierre de Coubertin).
Dai primi studi degl’inni 80 di Hardy e Parfitt, sui rapporti fra prestazioni sportive ed emozioni negative, come paura, rabbia, fino ai più recenti di Hanin, che ormulò la teoria della zona individuale di funzionamento ottimale (IZOF, Individual Zone of Optimal Functioning), ogni atleta possiede la sua zona ottimale di ansia in cui riesce a realizzare prestazioni ottimali.
L’ansia è definita uno stato di aumentata vigilanza contrassegnata da un’elevata attivazione emotiva (arousal), definita da Hanin come il grado e l’intensità con cui viene vissuta una determinata emozione. In generale, l’ansia permette all’individuo di anticipare la percezione di un eventuale pericolo prima che questo sopraggiunga, attivando specifiche risposte che spingono da un lato all’identificazione della strategia più adeguata per affrontarlo, dall’altro, all’evitamento e all’eventuale fuga.
In particolare, come indicato da Hanin (1980), l’acronimo IZOF sintetizza i seguenti concetti:
- Individual: la zona di funzionamento ottimale è specifica ed individuale per ogni atleta. Un determinato livello di ansia può essere infatti funzionale o disfunzionale a seconda della disciplina praticata, della sezione di gara in cui si verifica e delle caratteristiche personali dell’atleta.
- Zone: si tratta di un campo di valori superato il quale la prestazione decade. Nella zona di funzionamento ottimale si ottiene potenzialmente la performance migliore.
- Optimal Functioning: ogni atleta esprime un livello (che va stabilito individualmente) ottimale di ansia funzionale per il raggiungimento della prestazione più elevata.
L’approccio indicato da Hanin, consente quindi di: a) analizzare in termini qualitativi e quantitativi l’esperienza emozionale soggettiva tipica della prestazione atletica di alto livello, permettendo di
- valutare quali emozioni caratterizzano le prestazioni migliori e peggiori e qual è il loro grado di intensità;
- valutare e prevedere quale effetto producono sulla prestazione sportiva le emozioni positive e negative provate dall’atleta prima della gara.
Intelligenza emotiva e gli sport da combattimento
Nel contesto sportivo, il confronto con l’altro, prevede l’utilizzo di tecniche adeguate combinate con le emozioni, che, anche grazie all'utilizzo dei neuroni specchio, permettono di interpretare le intenzioni dell'altro.
Sono stati condotti diversi studi per valutare se il livello di intelligenza emotiva fosse più alto negli atleti rispetto ai non atleti. In particolare in uno studio di Szabo e Urban del 2014, sono stati confrontati i livelli di intelligenza emotiva in atleti che praticavano pugilato e judo, paragonati ai non atleti.
I risultati mostrano come gli atleti abbiano maggiori livelli di intelligenza emotiva rispetto ai non atleti, gli autori, collegano quanto rilevato alla pratica di questi sport. Risultati simili sono stati ottenuti anche in uno studio condotto da Costarelli e Stamou del 2009 su atleti d’élite di taekwondo e judo, confrontati con i non atleti.
Da studi paralleli condotti da Lane e Devonport, si può osservare come i pugili mostrino un incremento nell’intelligenza emotiva correlato ad anni ed anni di pratica.
Questi risultati sembrano in controtendenza con quella che è l’opinione comune che vede il pugilato come uno sport segnato da un forte stima sociale, perché troppo aggressivo o violento.
Lane et Al.nel 2009 hanno approfondito anche quali fossero le emozioni associate a performance di successo: vigore, felicità e calma; mentre quelle correlate a scarse performance sembrerebbero essere: confusione, depressione e stanchezza.
Non solo l’intelligenza emotiva è correlata alle emozioni piacevoli, ma gli atleti che ottengono punteggi più alti nelle scale self-report su questo costrutto, utilizzano frequentemente competenze psicologiche. Una delle questioni sorte nello studio delle emozioni in questo tipo di sport riguarda proprio il ruolo della rabbia, poiché è opinione comune associare sport da combattimento ad espressione di aggressività, dove la rabbia potrebbe giocare un ruolo incentivante.
In realtà questa emozione dovrebbe essere dosata con cura e mantenuta a livelli bassi, perché sia d’aiuto alla performance (Robazza, Bertollo e Bortoli, 2006), altrimenti rischierebbe di provocare un dispendio di energie e quindi diminuire le probabilità di successo.
Questi autori sottolineano come la rabbia sia connessa al tipo di sport praticato ed al livello di competitività dell’atleta, suggerendo come sia la capacità di controllare questa emozione e non di sopprimerla, ad avere un ruolo incentivante.
Non solo, atleti che praticano sport quali karate, aikido e taekwondo, mostrano un migliore controllo dei comportamenti aggressivi che progredisce con gli anni di pratica (Graczyk et al.,2010).
(https://www.stateofmind.it) - (https://besport.org/) - (I neuroni specchio nella Kick Boxing - Mario Vignoli) - (Flessibilità cognitiva) - (Marina Di Marco - Psicologa)