Uno sport da combattimento è un incontro per fini competitivi tra due atleti che combattono fra di loro impiegando delle determinate regole d'ingaggio
(di solito significativamente diverse da quelle nei combattimenti intesi per pratica o sfida nelle arti marziali), in un combattimento corpo a corpo all'interno di un contesto agonistico.
SPORT DA COMBATTIMENTO - Storia
Sport legati alle abilità nel combattimento hanno sempre fatto parte della cultura umana per migliaia di anni. Forme di lotta esistono in quasi ogni civiltà. I giochi olimpici dell'antica Gracia erano largamente composti da discipline che testavano le caratteristiche legate al combattimento, come la corsa armata, il pugilato, la lotta, il pancrazio, il lancio del giavellotto e la corsa dei carri.
Questa tradizione di sport da combattimento fu portata anche più in là dai romani con gli scontri fra gladiatori che combattevano in maniera molto cruenta nelle arene con armi, a volte fino alla morte.
La prima testimonianza di sport da combattimento risale ai giochi olimpici del 648 a.C. con il pancrazio, che consentiva agli atleti di usare ogni tecnica pugilistica e di lotta. Le uniche regole alle origini erano di non mordere e di non colpire gli occhi. Il vincitore era decretato per sottomissione, perdita di sensi o addirittura morte. Gli incontri potevano durare anche ore e divennero rapidamente popolari nel periodo ellenistico, dove venivano indetti in piccoli piazzali che incoraggiavano l'ingaggio.
Attraverso il medioevo e il rinascimento erano comuni i tornei, con la giostra cavalleresca vista come evento principale di questi giochi marziali, praticati anche e soprattutto come mezzo di preparazione alla guerra. I tornei erano comuni fra l'aristocrazia, ma forme sportive di combattimento erano praticate in ogni strato della società.
La lotta tradizionale, detta spesso folk wrestling, esiste in varie forme in quasi ogni cultura.
Con l'avvento delle armi da fuoco, l'uso di armi bianche o di tecniche a mano nuda divenne obsoleto per i campi di battaglia, così molte abilità sopravvissero solo in misura sportiva, con fini agonistici o come solo mezzo di formazione fisica e mentale dell'individuo. Alle soglie dell'età contemporanea la pratica sportiva del combattimento divenne sempre più popolare, riconosciuta ufficialmente e regolamentata internazionalmente.
Nell'800 in Europa si diffondono il pugilato inglese e nascono discipline come la savate, la lotta olimpica o l'odierna scherma, tutte discipline retaggio di quelle che un tempo erano le abilità richieste dai guerrieri.
Anche molte forme di ginnastica sono indirettamente collegate alle pratiche marziali dei periodi antichi, per esempio il cavallo con maniglie nasce in origine come esercizio per i cavalieri che dovevano simulare il cambio di posizione in monta a un cavallo. In oriente invece antiche arti marziali come il kenjutsu o il ju jitsu vennero aggiornate ai tempi più moderni e tramutate in kendō e judo, come mezzi sportivi di crescita e confronto dei praticanti.
SPORT DA COMBATTIMENTO - Modernità
Al giorno d'oggi gli atleti di solito combattono uno contro uno, ma possono ancora usare solo un determinato campione di tecniche come nella Boxe dove sono ammessi solo i pugni, nel Taekwondo che si focalizza sui calci, nella Kick Boxing, dove la tecnica è strutturata sull'uso di pugni e calci o nella Muay Thai, dove è consentito anche l'uso di gomitate e ginocchiate.
Gli sport basati sulla lotta possono concentrarsi sull'ottenere una posizione superiore come nella Lotta Libera o nel Judo oppure sulla sottomissione come nel Jiu jitsu brasiliano.
Le odierne arti marziali miste (MMA) sono un tipo di competizione simile all'antico Pancrazio che consente un largo raggio si tecniche sia di lotta che di percussioni. Gli sport da combattimento possono svolgersi anche con l'uso di armi, in genere usando spade come nelle specialità della scherma occidentale (stocco, sciabola e fioretto) o nel kendō (lo shinai).
Molti sport da combattimento possono anche impiegare delle protezioni più o meno complesse, alcune generali (paradenti o conchiglie), altre più specifiche (come i caschetti, paratibia, calzari, guantoni o le armature del Kendo).
SPORT DA COMBATTIMENTO - Tipologie
Discipline con Spada o Bastone
Wushu sportivo
Il termine Wushu, letteralmente tradotto dal cinese significa “Arte Marziale”, è nato in Cina ed è considerato l’antesignano di tutte le Arti Marziali.
Esistono forme sportive del Wushu, termine generico per indicare le arti marziali cinesi. Quelle relative al combattimento corpo a corpo sono indicate alla voce sanda, ma ne esistono anche alcune che prevedono l'uso di armi come forma di scherma, secondo regolamenti vari. Il wushu è stato sport dimostrativo alle Olimpiadi di Pechino 2008.
Il Wushu si è sviluppato per millenni, facendo parte integrante di diverse religioni e culture cinesi , non prevedendo solamente una preparazione fisica ma trovando nel Wushu una capacità psicologica per il rafforzamento dei propri pensieri, della propria vitalità oltre che della propria salute. Per questo lungo periodo di tempo è stato adottato anche come mezzo, arte di difesa – offesa sia nei campi di battaglia sia contro nemici individuali.
Il valore atletico del Wushu dei nostri giorni si ritrova nell’educazione e nell’affinamento dei movimenti che devono risultare comunque fluidi, morbidi, eleganti nella loro veloce e spesso complessa successione di gesti, movimenti nei quali la centralità e l’equilibrio del corpo è fondamentale.
Lo sport del Wushu comprende due discipline chiamate: Taolu e Sanshou. Il Taolu, un insieme di movimenti di attacco e difesa, si suddivide in esercizi effettuati a mani nude, esercizi con armi, esercizi di gruppo e combattimenti prestabiliti.
- Gli esercizi a mani nude includono i seguenti stili: Changquan (stile del nord), Nanquan (stile del sud), Taijiquan, Xinylquan, Baguazhang, Tongbeiquan, Ditangquan.
- Gli esercizi con armi comprendono gli stili della Sciabola, della Spada, della Lancia, della Doppia Sciabola, della Frusta con nove sezioni, e del Bastone.
- I Combattimenti prestabiliti possono essere svolti da due, tre o più atleti e sono divisi in esercizi con o senza armi.
Il Sanshou è una forma di combattimento a pieno contatto, che si esegue con gli arti inferiori, con gli arti superiori e con diverse tecniche di proiezione.
La I.Wu:F., International Wushu Federation, ha proposto al C.I.O – Comitato Internazionale Olpimpico di inserire nei Giochi Olimpici di Pechino la disciplina del Taolu nei seguenti stili:
- Maschi: Changquan, Nanquan, Sciabola, Bastone.
- Femmine. Changquan, Taijiquan, Spada, Lancia.
Sport da Combattimento (https://www.fiwuk.com/il-wushu-kung-fu)
Kendo
Il Kendo è la leggendaria scherma tradizionale dei Samurai, letteralmente Via (“do”) della spada(“Ken”).
Arte marziale giapponese per eccellenza, si pratica utilizzando lo shinai, un bastone formato da quattro canne di bambù, in sostituzione della vera e propria spada, la katana. Durante l’allenamento il corpo viene protetto da una armatura, bogu, formata da maschera, corpetto, guanti e un paraventre.
Lo shinai viene usato con entrambe le mani e il colpo deve essere inferto come si farebbe con una vera spada: non si deve quindi “battere” come con un normale bastone, ma “tagliare” sui punti prestabiliti del corpo in modo da procurare una ipotetica morte o messa fuori combattimento dell’avversario.
Ma che cosa è il kendo? È la più antica arte marziale e, con il Sumo, l’unica autoctona del Giappone. Alcuni la fanno derivare dalla scherma cinese unicamente perché scambiano le tecniche di costruzione delle spade usate nel Katai con l’impiego dell’arma stessa.
Il kendo invece conta milioni di appassionati ed è inserita come materia nelle scuole dell’obbligo fin dalle elementari. Il kendo è anche sport, ma non solo. Come tutte le arti marziali, in special modo la spada che affonda le sue radici in tempi antichissimi, conserva lo studio delle buone maniere, della cortesia e della filosofia del combattimento, l’accettazione serena di una vittoria o di una sconfitta.
La storia del kendo fu tratteggiata in epoche successive dallo Zen e dal Confucianesimo. Questi insegnamenti aiutano la pratica da un punto di vista morale e filosofico. La fedeltà alla parola data, il superamento della paura della morte, la sopportazione del sacrificio sono tutti elementi comuni al Kendo. Se consideriamo che questa era l’arte marziale della Nobiltà Guerriera giapponese, appare chiaro come la formazione del praticante venisse basata sia sullo studio della tecnica che della filosofia.
Le virtù fondamentali possono essere sintetizzate in:
- benevolenza
- giustizia
- etichetta
- correttezza
- saggezza
- sincerità
Il comportamento di un buon praticante deve sempre tener conto di questi aspetti; non rispettarli o trascurarli significa non praticare correttamente il Kendo e quindi col tempo perdere il contatto con la vera disciplina.
Il kendo moderno è una forma di budo da dojo, cioè trova le condizioni ideali di esecuzione nella sala di pratica, o dojo. La postura da assumere è estremamente eretta e quindi naturale. Lo sforzo da compiere nell'allenamento diretto tende allo sviluppo della maturità spirituale dell'individuo, la sua "abilità interiore", uno stato che porta al pensiero riflessivo e all'introspezione. La diffusione del kendo come sport si giustifica solo nell'intenzione di fare diventare questa arte un veicolo di trasmissione dello spirito del kendo in sintonia con la tradizione e nel rispetto di essa.
Sport da Combattimento (http://www.federazioneitalianakendo.it/discipline/kendo)
Schema Olimpica
In senso etimologico "Scherma" deriva da "schermire" verbo che ha come significato l'atto del ripararsi, del difendersi. Alcuni studiosi fanno derivare tale termine dal tedesco arcaico "skirmen", che vuol dire proteggere e, per sinonimia, difendere o difendersi.
Tale arte si evolve nel corso di più secoli, accompagnata anche dall'evoluzione delle sue armi a partire dalle prime armi da taglio, passando dal gladio romano fino, ai famosi spadoni medievali, ad arrivare ai giorni nostri alle armi da punta e da taglio. Il duello inizialmente limitato alla scherma militare, fu esteso poi all'uso civile come salvaguardia dell'onore e dei principi morali.
Già nel XIII secolo si parlò di una scherma italiana che godeva di grande prestigio fuori dai confine della penisola. Fin dal 1292 cinque maestri italiani ebbero sale d'armi a Parigi. Nella seconda metà del Trecento a Bologna, vissero maestri come Nerio e Lippo Di Bartolomeo; Gioacchino Meyer, fondatore più tardi della scherma tedesca, era stato allievo, a Bologna, del celebre Achille Marozzo.
L'irradiarsi della scherma italiana coincise con il fiorire del genio Italiano in tutto il continente tipico di quei secoli. Risale di fatto al 1400 la nascita delle prime scuole di scherma con i cosiddetti "maestri d'arme".
- Fioretto: I più piccoli iniziano la scherma con quest'arma, che può colpire solo di punta ed è ritenuta da molti la più adatta per imparare le azioni fondamentali. Il bersaglio valido è tutto il tronco, coperto da un giubbetto conduttivo. Testa, braccia e gambe sono bersaglio non valido, anche se dal 1° gennaio del 2009 è stata introdotta come bersaglio valido parte della gorgiera della maschera. In caso di stoccata per entrambi gli avversari, l'arbitro applica la "convenzione": una serie di regole derivanti dalla logica del duello, secondo cui "ha ragione" (e quindi gli viene assegnato il punto) chi attacca per primo, o chi para e risponde, o chi ha l'arma "in linea" (braccio disteso e punta che minaccia il bersaglio valido) prima dell'inizio dell'attacco dell'avversario.
- La Sciabola: Anche in questa specialità si applica la "convenzione", ma il bersaglio è più ampio, comprensivo di tutta la metà superiore del corpo: il colpo non viene segnalato (come invece avviene nel fioretto) se raggiunge altre parti del corpo. Si può colpire con tutta la lama, quindi di punta, di taglio e controtaglio. E' l'arma più dinamica e veloce, da preferire per chi ha un temperamento vivace ed aggressivo.
- La Spada: Arma che può colpire solo di punta, in tutto il corpo. Non esiste "convenzione": il punto va a chi colpisce per primo. In caso di colpo doppio, possibile solo entro 40-50 millisecondi, si assegna un punto ad entrambi. E' la specialità più matura e meditata ed è quella che più delle altre ha conservato alcune caratteristiche del duello terreno.
La gara si sviluppa in una serie di azioni offensive e difensive.
Le azioni offensive comprendono l'attacco, che si esegue distendendo il braccio e minacciando costantemente il bersaglio valido dell'avversario (che varia secondo la specialità), la risposta, ovvero l'azione offensiva dello schermitore che ha parato l'attacco, e la controrisposta, cioè l'azione offensiva di chi ha parato la risposta.
L'azione difensiva è la parata: può essere semplice (o diretta, eseguita nella stessa linea dell'attacco), o circolare (o di contro, se eseguita sulla linea opposta a quella dell'attacco).
Nel duello, il cui inizio è dato dal comando dell'arbitro "A voi", gli schermitori si trovano uno di fronte all'altro al centro della pedana, a una distanza tale che, con il braccio armato disteso, le punte delle armi non si toccano. Dopo ogni stoccata, ovvero dopo ogni colpo andato a segno, gli schermitori si rimettono in guardia al centro della pedana; se la stoccata non è stata aggiudicata, ci si rimette in guardia nel punto in cui si era interrotto l'assalto. È proibito il corpo a corpo volontario per evitare una stoccata, volgere la schiena all'avversario e usare la mano o il braccio non armato. Sono invece concessi gli spostamenti e le schivate. La fine del duello è decretata dall'ordine "Alt", dato dall'arbitro quando il gioco è ritenuto pericoloso, quando uno schermitore è disarmato o esce dalla pedana.
La durata degli incontri varia in base alla gara: nelle fasi a gironi è previsto un tempo massimo di 3 min con 5 stoccate; nell'eliminazione diretta, massimo 9 min divisi in manches di 3 min con 15 stoccate; nelle prove a squadre, 3 min per ciascuna frazione senza limite di stoccate. Vince chi raggiunge il limite di stoccate previsto o termina l'incontro in vantaggio. La stoccata valida viene giudicata tale dall'arbitro con l'aiuto di un dispositivo elettronico sonoro collegato all'arma e al bersaglio degli schermitori.
Sport da Combattimento (https://www.federscherma.it/homepage/la-scherma/storia.html)
Kali Escrima Arnis
Kali, conosciuto anche come Arnis o Escrima, è un’antica arte marziale nata e sviluppatasi nelle Isole Filippine.
Famosa per la sua elevata specializzazione nell’uso delle armi bianche quali bastoni e coltelli, il Kali filippino comprende in realtà un vasto repertorio di tecniche a mani nude, i cui principi, concetti e strategie derivano direttamente dal combattimento armato.
L’arcipelago filippino vanta comunque numerose altre arti e sistemi di combattimento nativi ed una enorme varietà di armi tradizionali. L’insieme di tali sistemi di combattimento originari delle Isole Filippine è racchiuso nella sigla FMA ovvero “Filipino Martial Arts”.
Il Kali filippino, erede di una tradizione marziale legata ai death matches combattimenti senza regole detti Patayan, Juego Todo o Marajao Karajao vietati dal Generale americano Douglas MacArthur nel 1945, è diventato uno sport da combattimento, il quale, dato l’enorme bagaglio tecnico a disposizione, presenta una grande varietà di specialità differenti.
A seconda dell’arma impiegata esistono, infatti, competizioni di stick fighting (singolo o doppio), knife fighting, spada y daga o con armi diverse (es. catena contro bastone lungo). A mani nude vi sono competizioni di Panantukan (pugilato filippino), Sikaran (arte del claciare) o YawYan (arte marziale simile alla Muay Thai).
Il numero di combinazioni possibili aumenta considerando il tipo di tecniche utilizzabili (solo armi, armi calci e pugni, kali tudo/Dog Brother’s way) o le protezioni indossate (es. padded sticks, arma non imbottita con o senza armatura, ecc).
Sebbene in tale eterogeneità traspare la spettacolarità delle arti marziali filippine, la specialità per eccellenza del Kali sportivo è il Single Stick. Infine, si svolgono anche competizioni di forme (individuali, a coppia o di team) chiamate generalmente anyo. Nel 2009, con l’Atto della Repubblica n. 9850, il Presidente Gloria Magacapal-Arroyo ha dichiarato il Kali – Arnis – Eskrima “arte marziale e sport nazionale”. A seguito di ciò il 23 Maggio 2011, PhilPost, la società postale nazionale, ha emesso una serie limitata di francobolli raffiguranti la pratica del Kali filippino.
Sport da Combattimento (http://www.kalifilippino.it/)
Discipline da contatto
Kickboxing
La parola Kick Boxing assume un termine generico, come una corolla dalla quale si diramano tutte le varie specialità praticate oggigiorno: Point Fighting, Light Contact, Kick Light e Forme Musicali (Tatami Sport) e Full Contact, Low Kick, K1 Rules (Sport da Ring).
L’attività agonistica per il Point Fighting, Light Contact e Kick Light parte dai 10 anni, per le Forme Musicali dagli 8 anni mentre per il contatto pieno dai 16 anni.
Cosa significa "KICK BOXING"? Letteralmente vuol dire "Tirare di calcio e di pugno". Questo stile di combattimento nasce negli USA ufficialmente nel 1974 con il nome di "FULL CONTACT KARATE".
Per l’esattezza, era il 14 settembre 1974 quando nella Los Angeles Cow Sports Arena venne presentato il primo Campionato del Mondo Pro, che si disputò tra un pugno di Americani e pochi Europei. Nel 1976, le stesse persone che a Los Angeles avevano promosso il primo Mondiale Pro, fondarono la WORLD ASSOCIATION OF ALL STYLE KARATE ORGANIZATIONS (WAKO). Nel 1978 si tennero a Berlino i primi veri e propri Campionati del Mondo, seguiti da quelli di Tampa (Florida) nel 1979 e da quella data ininterrottamente ogni due anni. Nel 1980, a causa del successo che il Full Contact Karate incontrò in Europa, nacquero dei contrasti con le Federazioni di Karate esistenti e per evitare problemi politico-sportivi, la WAKO decise di lasciar cadere l’uso della parola Karate associata al Full Contact e nacque così il termine di KICK BOXING o Kickboxing (sintesi di "kicking" e "boxing") che immediatamente dava l’idea di cosa i praticanti stessero facendo: tirare di calcio e di pugno. Pertanto la sigla internazionale WAKO rimase, così come il suo logo originario, ma con la dicitura di WORLD ASSOCIATION OF KICK BOXING ORGANIZATIONS.
La Kick Boxing (o Kickboxing) è una disciplina che si adatta senza problemi anche alle esigenze dei bambini: come tutti gli altri sport, infatti, può rivestire un ruolo molto importante dal punto di vista dello sviluppo dei più piccoli e per la loro crescita, tanto a livello psicologico quanto sul piano fisico.
La Kick Boxing è una disciplina per tutti! Se è vero che nell’immaginario collettivo questo sport fa venire in mente un ring e due persone che fanno di tutto per colpirsi l’un l’altro e per mandarsi al tappeto, è altrettanto vero che questa è una immagine stereotipata, dovuta solo a una scarsa conoscenza di questo sport.
I più piccoli, maschi e femmine, si possono dedicare a quello che viene definito allenamento a contatto leggero. Connesso al tema della sicurezza è il tema delle protezioni. Soprattutto i più piccoli devono essere protetti con le adeguate protezioni stiamo parlando di caschi, paradenti e guantoni.
Discipline a contatto leggero
- Kick Light: A partire dai 10 anni. Disciplina introdotta non molto tempo fa’ nell’attivita’ internazionale WAKO (la Federazione internazionale di riferimento), il cui svolgimento è esattamente come il light contact, ma che offre la possibilità da parte degli atleti di attaccare anche le cosce dell’avversario con calci in linea bassa controllati.
- Light Contact: A partire dai 10 anni. E’ il passo intermedio per arrivare ai combattimenti a contatto pieno. I due avversari si affrontano scambiandosi vicendevolmente colpi senza interruzione in un fluire di tecniche giudicate da 3 giudici sempre secondo il criterio della tecnica portata a segno con precisione e in maniera controllata. Non è valido il KO.
- Point Fight: A partire dai 10 anni. Il combattimento viene interrotto ogniqualvolta l'atleta riesce a piazzare un colpo di calcio o di pugno a bersaglio utile in maniera controllata. I punteggi variano a seconda della tecnica utilizzata, vince l’incontro chi totalizza più punti al termine delle riprese previste.
- Forme Musicali: A partire dagli 8 anni. Questa disciplina racchiude in se’ tutte le arti marziali; dal Karate, al Kung Fu, al Wushu ecc., allo scopo di creare un incontro immaginario stilizzato con la musica che detta i ritmi dell'esercizio stesso. Il sincronismo è fondamentale in questa disciplina. La spettacolarità, il dinamismo e l'elasticità rendono le esibizioni molto piacevoli da seguire.
Discipline a contatto pieno
- Low Kick: A partire dai 16 anni. Gli atleti combattono secondo la regola che i calci possono essere portati sia all'interno che all'esterno coscia, per l’appunto il termine stesso “low kick” sta a significare “calci bassi”.
- Full Contact: A partire dai 16 anni. Si utilizzano le tecniche del Light Contact, ma i colpi sono portati a segno a contatto pieno. In tutti gli “sport da ring” di FIKBMS vale il K.O. Le tecniche di calcio nel Full contact devono essere portate al di sopra della cintura.
- K-1 Rules: A partire dai 16 anni. Il K1 Rules è uno sport da combattimento ideato dai giapponesi. Si differenzia dalla Low Kick per la possibilità di utilizzare alcune tecniche supplementari: spinning back fist (pugno circolare in rotazione all’indietro), clinch a due mani (presa dietro la nuca dell’avversario a due mani), colpi di ginocchio.
Sport da Combattimento (http://www.federkombat.it)
Sport da Combattimento (https://www.kickboxingperugia.com)
Muay Thai
Le origini della storia della Muay Thai si persero quando il popolo Birmano saccheggiò e distrusse l’antica città di Ayuddhaya. Tale invasione provocò la distruzione di gran parte degli archivi storici e culturali. Quel poco che conosciamo sulla storia della Muay Thai deriva dai resoconti di Birmani, Cambogiani e dei primi Europei che visitarono la Thailandia e da alcuni scritti del Re Chiangmai.
Ciò che tutte le fonti sostengono è che la Muay Thai ebbe origine come sistema di combattimento in battaglia, più mortale delle armi che era andato a sostituire.
Le fonti non sono chiare e spesso si contraddicono tra di loro. Ma esistono due teorie a riguardo.
- La prima sostiene che questa arte si sviluppò durante il periodo migratorio quando il popolo Thai si mosse attraverso la Cina, per difendersi dai continui attacchi dei predoni e dei popoli che li vedevano passare.
- La seconda teoria afferma che il popolo Thai era già presente in quei territori e che quindi la Muay Thai nacque per difendere la propria terra e la popolazione dalle invasioni dei popoli confinanti. Questa seconda teoria, seppur controversa, ha trovato un considerevole sostegno accademico ed evidenze archeologiche.
Ciò che si sa è che la storia della Muay Thai è una parte essenziale dei principi della cultura thailandese fin dalla sua origine. E in Thailandia è lo “sport” dei Re….l’arte dei Re.
Re Naresuan: nella storia della Muay Thai, questioni nazionali furono decise nel campo della Muay Thai. La prima grande manifestazione di interesse nella Muay Thai come sport, tanto quanto come abilità sul campo di battaglia, avvenne sotto Re Naresuan nel 1584, periodo conosciuto come Era Ayuddhaya. Durante questo periodo, ogni soldato studiava la Muay Thai e poteva usarla, come faceva il Re stesso. Lentamente la Muay Thai si allontanò dalle sue radici e nuove tecniche di combattimento vennero sviluppate.
Re Tigre: (Re Pra Chao Sua) L’evoluzione in Arte continuò sotto il regno di un altro guerriero, Re Pra Chao Sua, in italiano il Re Tigre. Dalla storia della Muay Thai si rileva che lui amava la Muay Thai così tanto che spesso andava a combattere in incognito nel villaggi vicini, battendo i campioni locali. Durante il suo regno la nazione visse un periodo di pace. Il Re quindi, per tenere occupato l’esercito, diede l’ordine di addestrarlo alla Muay Thai. L’interesse per questo sport era già alto, ma sotto il suo regno decollò ulteriormente. La boxe thailandese divenne lo sport ed il passatempo preferito della popolazione, dell’esercito e del Re. Fonti storiche mostrano gente di ogni età riunirsi presso i campi di allenamento. Ricchi, poveri, giovani e adulti, tutti volevano allenarsi. Ogni villaggio organizzava le sue gare di combattimento e aveva i suoi campioni. Ogni incontro divenne luogo per scommesse tanto quanto espressione dell’orgoglio locale. La tradizione delle scommesse è rimasta in questo sport ed oggi grandi somme vengono scommesse sui risultati degli incontri.
Re Rama V: dalla storia della Muay Thai si comprende che essa fu sempre popolare ma, come molti sport, ci fuorono dei periodo in cui fu più in voga. Durante il regno di Re Rama V, molti incontri erano combattimenti della Guardia Reale. Questi atleti venivano ricompensati con un titolo militare dal Re. Oggi titoli, come Muen Muay Mee Chue da Chaiya o Muay Man Mudh da Lopburi sono virtualmente intraducibili. Il loro significato è all’incirca comparabile a Maestro di Boxe. Anticamente essi erano molto riconosciuti e rispettati.
Re Rama VI: dobbiamo attendere fino al regno di Re Rama VI affinchè il ring a base quadrata cinta da funi entrasse in uso, così come l’uso dell’orologio per scandire il tempo. Prima di questo periodo, il tempo veniva preso facendo galleggiare un pezzo di guscio di noce di cocco sull’acqua. Quando la noce di cocco affondava, un tamburo segnalava la fine dell’incontro.
La Muay Thai è sempre stato per la gente uno sport da combattimento tanto quanto un sistema di combattimento militare. In tutti i suoi anni d’oro, le persone hanno imparato e praticato questo sport, siano essi Re o gente comune. Essa era parte del curriculum scolastico fino al 1920, anno in cui fu eliminata perché fu giudicata troppo alta la percentuale di lesioni e ferite. La gente comunque continuò a studiarla nelle palestre e nei club, così come oggi.
Le persone hanno sempre seguito questo sport e sono state i promotori del passaggio di esso dal campo di battaglia al ring. Sono state, insieme ai Re, parte dominante della trasformazione della Muay Thai in sport.
Come già riportato, uno dei principali esponenti di questa trasformazione è stato Re Tigre, che non solo influenzò lo stile di combattimento ma anche l’equipaggiamento. Durante il suo regno, le mani e gli avambracci iniziarono ad essere bendate con dei nastri usati per le criniere dei cavalli. Ciò aveva un duplice scopo: proteggere il combattente e procurare maggior danno all’avversario. Successivamente esse vennero sostituite da corde di canapa o strisce di cotone inamidate. Per tornei particolari e con il consenso dei combattenti, pezzi di vetro venivano mischiati a colla e spalmati sui bendaggi.
I cambiamenti che questo sport subì andarono dall’equipaggiamento usato a cambiamenti più radicali. Per esempio, i combattenti Thai hanno sempre protetto la zona inguinale. Un calcio o una ginocchiata all’inguine era perfettamente legale fino al 1930. In tempi remoti, la protezione era fatta con tre cortecce o conchiglie di mare posizionate con un pezzo di stoffa legato tra le gambe ed intorno alla vita. La protezione inguinale venne poi fatta con cuscino a forma triangolare, rosso o blu, legato intorno alla vita con delle cinghie tra le gambe. Questo tipo di protezione, comparse in seguito ad un viaggio in Malesia di un pugile. Egli tornò con questa idea, che era molto vicina a quella originale delle conchiglie di mare fino ad allora utilizzata.
Il 1930 segnò cambiamenti radicali in questo sport da combattimento. E’ allora che fu codificato e che le norme ed i regolamenti odierni furono introdotti. Le originali corde degli avambracci e delle mani furono abbandonate e i guanti presero il loro posto.
Prima dell’introduzione della classi di peso, un combattente poteva e doveva combattere senza distinzione di altezza e peso. Quindi, l’introduzione delle classi di peso significò che i combattenti erano equamente accoppiati e a differenza delle origini in cui c’era un solo campione, ora si aveva un campione per ogni classe di peso. Molti combattenti di Muay Thai appartenevano alla classe di peso più leggera. Il 70 % apparteneva alle categorie peso piuma e peso gallo. C’erano combattenti di peso welter e medio ma non si vedevano spesso e raramente le categorie di pesi maggiori combattevano.
La Muay Thai è cambiata negli anni. Cambiò e si evolse passando da tecnica di cambattimento militare a tecniche della tradizione del combattimento tramandate di generazione in generazione fino ad arrivare ai giorni nostri. Ma a differenza dei cambiamenti storici, la Muay Thai non ha perso il suo carattere esotico e sempre misterioso.
La Muay Thai è tutt’ora l’arte da combattimento da battere. I combattenti che sconfiggono tutte le sfide con il Kung Fu, il Karate, il Taekwando e il recente Kickboxing. Sono tutti andati in Thailandia, non una sola volta ma parecchie volte e da diversi stati per testare lo stessi.
Gli incontri di Muay Thai vengono combattuti in cinque round di tre minuti ciascuno, intervallati da pause di due minuti.
Non sono permessi turni supplementari. I pugili devono indossare guantoni regolamentari, con un peso non inferiore a 6 once (172 Gramm). I guanti non devono essere spremuti, impastati o schiacciati per cambiarne la loro forma originale. L’incontro è preceduto dalla wai kru, la danza con la quale ogni concorrente rende omaggio ai suoi Maestri, al Re e ottiene il favore degli spiriti benigni scacciando gli spiriti maligni dal terreno dello scontro.
Oltre al significato simbolico, la danza è un buon esercizio di riscaldamento. Ogni combattente indosserà una fascia in testa e dei bracciali. La fascia, chiamata mongkhol, si pensa dia fortuna a chi la indossa poiché è stata benedetta da un monaco o dal Maestro del pugile. Dal momento che il buddismo e l'insegnante giocano un ruolo importante nella vita dei thailandesi, la fascia è sia un portafortuna e un oggetto spirituale. Essa verrà tolta alla fine della wai khru e solo dal Maestro del pugile. I bracciali, invece, si crede offrano protezione e vengono rimosso quando il combattimento è giunto al termine.
L’incontro viene deciso o dal ko o dai punti. Tre giudici decidono chi conduce il round e colui che vince più round, vince l’incontro. L’arbitro ricopre un ruolo molto importante, dato che la sicurezza dei pugili dipende dalle loro decisioni. Ad un lato del ring si trova la banda, composta da un clarinetto giavanese, tamburi e piatti. Essa accompagna il combattimento dalla danza di omaggio iniziale fino alla conclusione dell’incontro. Il tempo sale e scandisce l’intensificarsi dell’azione all’interno del ring. I musicisti sono per lo più veterani che hanno visto quasi tutto, ma la loro musica fa correre il cuore più veloce. Si narra che il brano è il canto di una sirena a cui il vero devoto Muay Thai può resistere.
Sport da Combattimento (https://www.federazioneitalianamuaythai.com)
Sport da Combattimento (https://www.kickboxingperugia.com)
Karate
Per molti secoli Okinawa – nell’arcipelago delle Ryu-kyu – aveva mantenuto rapporti commerciali con la provincia cinese di Fukien e fu così, probabilmente, che conobbe il kempo o chuan-fa / quan fa («Via del pugno»), nato secondo la tradizione nel monastero di Shaolin, modificandolo col passare degli anni secondo metodi locali.
Sho Hashi, re di Chuzan, nel 1429 unificò i tre regni di Okinawa: Hokuzan a nord, Chuzan al centro e Nanzan a sud. Il re Sho Shin, per mantenere la pace, intorno al 1500 vietò il possesso di armi, che furono raccolte e chiuse in un magazzino del castello di Shuri.
Dopo la battaglia di Sekigahara (1600), i Tokugawa vittoriosi concessero al bellicoso clan degli Shimazu, che governavano il feudo di Satsuma nell’isola di Kyushu, di occupare le Ryu-kyu: 3.000 samurai compirono l’invasione senza incontrare valida resistenza (1609). Poiché fu rinnovato il divieto di possedere armi e persino gli utensili di uso quotidiano come bastoni e falcetti dovevano essere chiusi nei magazzini durante la notte, gli abitanti si dedicarono in segreto allo studio di una forma di autodifesa da usare contro gli invasori. Nacque così la scuola Okinawa-te («mano di Okinawa»), detta anche to-de («mano cinese» [l’ideogramma to caratterizza la dinastia Tang]), che si differenziava in tre stili: Naha-te, sul modello del kung-fu / gongfu della Cina meridionale (shorei-ryu), Shuri-te e Tomari-te, sul modello del kung-fu / gongfu della Cina settentrionale (shorin-ryu). Va precisato che Naha era la capitale dell’isola, Shuri la sede del castello reale e Tomari la zona del porto (oggi Shuri e Tomari sono quartieri di Naha).
Il primo maestro delle Ryu-kyu fu Sakugawa di Shuri (1733-1815), soprannominato “Tode” perché combinò il kempo, da lui studiato in Cina, con le arti marziali di Okinawa. Fu suo allievo Sokon Matsumura di Shuri (1809-1901), maestro di Anko Azato (1827-1906), a sua volta maestro di Funakoshi. Anko Itosu (1832-1916), allievo esterno di Matsumura, grande amico di Azato e anch’egli maestro di Funakoshi, introdusse il to-de nelle scuole di Okinawa e mise a punto i cinque kata detti Pinan.
Il primo maestro di Okinawa a recarsi in Giappone fu Choki Motobu di Shuri (1871-1944), straordinario combattente ma illetterato, che perciò non ottenne grande successo come insegnante. Solo con l’arrivo di Funakoshi il karate poté diffondersi nel paese del Sol Levante.
Nel 1921 passò per Okinawa il principe Hirohito, diretto in Europa, e nel castello di Shuri Funakoshi organizzò un’esibizione che fu molto apprezzata. Lasciato l’insegnamento, nella primavera del 1922 Funakoshi fu scelto per eseguire una dimostrazione di karate alla Scuola Normale Superiore Femminile di Tokyo, ove si stabilì. Nel 1922 scrisse Ryu-kyu kempo: karate (karate significava ancora «mano cinese» e i nomi dei kata erano quelli originari di Okinawa). Nel 1935 pubblicò Karate-do kyohan, molti anni dopo tradotto dal maestro Oshima.
I primi anni furono difficili soprattutto sotto l’aspetto economico. Nel 1931 il karate fu ufficialmente riconosciuto dal Butokukai, l’organizzazione imperiale per l’educazione della gioventù. Dopo aver utilizzato un’aula del Meisei Juku (un ostello per studenti di Okinawa nel quartiere Suidobata), per qualche tempo Funakoshi fu ospite nella palestra del maestro di scherma Hiromichi Nakayama. Nel 1936, grazie al comitato nazionale di sostenitori del karate, venne costruito il dojo Shotokan («casa delle onde di pino») a Zoshigaya. “Shoto” era lo pseudonimo che Funakoshi usava da giovane nel firmare i suoi poemi cinesi. Per facilitare la diffusione del karate in Giappone l’ideogramma to, che si leggeva anche kara («cinese»), fu cambiato con un altro avente la stessa pronuncia, ma il significato di «vuoto» (sia nel senso di «disarmato», che in riferimento allo stato mentale del praticante, concetto zen di mu-shin). Vennero inoltre cambiati in giapponese i nomi originali delle tecniche e dei kata per renderli più comprensibili.
Nel dopoguerra il generale Mac Arthur proibì la pratica delle arti marziali, ritenute l’anima dello spirito militarista nipponico, ma a poco a poco l’interesse per il karate crebbe anche in Occidente e Funakoshi fu ripetutamente invitato a dare dimostrazioni.
Il Maestro lasciò la direzione dello Shotokan al figlio Yoshitaka, che trasformò profondamente lo stile elaborato dal padre, inserendovi attacchi lunghi e potenti, che facevano uso di nuove tecniche di calci. Yoshitaka morì di tubercolosi nel 1953. Shotokan, wado, shito e goju sono i principali stili di karate.
Sport da Combattimento
Goju Ryu: Il Goju Ryu unico stile mantenuto tale dalle origini, attualmente praticato ad Okinawa, in Giappone e nel resto del mondo.
Il fondatore era il M° Kanryo Higahonna, ed all'epoca si chiamava "Naha-te" (il nome Go-ju fu tratto dal M° Chojun Miyagi da un passaggio del Kempo Hakku, in un capitolo del Bubishi, che recita: 'Ho goju don to', la legge dell'Universo respira dura e morbida), ad esempio, è strettamente legato allo Shorei Ryu. In Giappone si diffuse nella regione di Kyoto , grazie all'opera del maestro Gogen Yamaguchi che seguiva il Sensei Chojun Miyagi Le contrazioni muscolari, i movimenti lenti e potenti caratteristici di questo stile richiedono grande vigore fisico; il Goju Ryu conserva molte delle peculiarità di un tempo: tra i vari stili è quello che meno si è modernizzato.
Altra ramificazione dello Shorei è lo Uechi Ryu o Pangai Noon, poco diffuso e poco conosciuto in Italia ; il suo fondatore, Kanbun Uechi, trascorse quindici anni in Cina, nella stessa zona in cui si era formato Kanryo Higaonna. Nella zona di Kobe si diffuse lo Shito Ryu, creato dal maestro Kenwa Mabuni : questo stile deriva da entrambe le storiche scuole di Okinawa essendo stato il suo fondatore allievo di Itosu (Shorin Ryu) e di Higaonna (Shorei Ryu). I movimenti di questo stile sono morbidi ed eleganti, alternati a forti contrazioni muscolari; le posizioni si mantengono tendenzialmente alte.
Shito Ryu - Kyokushinkay - Shotokan: Lo stile Shotokan di discendenza Shorin Ryu, fu creato e diffuso da allievi del maestro Gichin Funakoshi , allievo diretto di Azato e Itosu. Dopo il 1922, data di presentazione in Giappone della sua arte, Funakoshi insegnò karate spostandosi da un dojo all'altro; una prima sede fissa venne creata nel marzo del 1938, quando Funakoshi aveva già settant'anni; fu lui ad affiggere al dojo l'insegna con la scritta Shotokan (da kan, casa e shoto, pseudonimo con cui il maestro soleva firmare poesie e opere di calligrafia).
Il dojo Shotokan rimase il centro dell'insegnamento del karate di Funakoshi anche quando ne cedette la direzione al suo terzo figlio, Yoshitaka il quale ebbe una parte importante nella diffusione dello Shotokan; egli apportò alcune modifiche nell'insegnamento, introdusse l'esercizio del combattimento libero elaborandone tecniche e strategie e ricercò maggiore ampiezza e dinamismo nell'esecuzione delle tecniche, sempre finalizzate alla massima efficacia.Tra le critiche che spesso vengono mosse sullo Shotokan, c'è quella della fermezza dei combattenti durante il kumite.
Questa diceria è dovuta al figlio di Funakoshi, che essendo malato di tubercolosi volle creare uno stile inconfondibile, percui addestrò dei combattenti con un allenamento specifico per aumentarne la massa muscolare, a tal punto che potevano star fermi durante il kumite poichè la loro mole bastava di per se a parare i colpi.
Oggi non è più cosi, e i "saltelli" tipo pugile sono entrati nel repertorio di qualsiasi karateka shotokan, e sono consigliati da tutti i maestri.
Wado Ryu: Il dojo di Wado Ryu, venne fondato nel 1937/1938 da uno dei primi e piu validi allievi di Funakoshi, il maestro Hironori Otsuka , egli creò lo stile Wado Ryu; e fu il primo maestro fondatore di uno stile ad essere originario del Giappone. Cominciò in tenera età la pratica del jujitsu, continuandola per 17 anni, sino al suo primo approccio con il karate. Divenne allievo di Gichin Funakoshi rimanendo a lungo con lui, prima di codificare, consigliato dallo stesso, un nuovo stile: il Wado ryu, Via della pace, il quale assomma influenze di jujitsu, Shito Ryu, Shotokan e dell'aikido, di cui conosce e frequenta il fondatore Morihei Ueshiba, presentando rotazioni spostamenti laterali e movimenti molto veloci che lo rendono particolarmente adatto al combattimento (Kumite).
Affida ai suoi primi allievi, i maestri Yamashita, Kono, Suzuki, Toyama (in Italia) e Mochizuki di trasmettere e divulgare lo stile Wado Ryu in Europa. Il Wado Ryu, è oggi diviso sotto due linee di pensiero:
- Il Wado Ryu e il Wado Kay. Il Wado Ryu, pone come figura principale Hironori (Jiro) Otsuka II (X Dan), il figlio del fondatore dello stile che segue le fila indirizzategli dal Soke stesso (suo padre). Nel vasto territorio mondiale, egli ha posto come caposcuola europeo il maestro Masafumi Shomitsu IX Dan Hanshi fondatore della Wado Academy. Nella penisola Italiana, viene affidato al Maestro Massimo Conti VI Dan, coadiuvato da molti altri nomi noti del Wado Ryu, il compito di divulgare lo stile.
- Il Wado Kai è stata fondato dal M° Hironori Otsuka in persona, per divulgare il Wado Ryu nel mondo, ora è gestito da uno dei più abili allievi del fondatore: Il maestro Tatsuo Suzuki (IX Dan), che modificò la linea indicatagli da Otsuka, ed introdusse gli Ohio Kumite. Suzuki portò il Karate Wado Ryu dapprima in Inghilterra, poi nel resto dell'Europa e negli Usa. Sicuramente la sua bravura e qualifica non ereditata ma acquisita lo pone come uno dei maestri storici di questo stile.
La diatriba che portò alla scissione tra Wado Ryu e Wado Kay, è da attribuire al fatto che i maestri dell'associazione Wado Kay (che in passato faceva parte, come associazione, del Wado Ryu, e che solo da 30 anni è di fatti uno stile) chiedevano a torto o a ragione un'autonomia che il M° Otsuka I non voleva concedergli.
La situazione si tradusse in un processo, nel quale vi fù la separazione legale dei due stili. L'accademia Wado Ryu Karate do Jujitsu Kempo Italia (AWKJI), è la federazione italiana che più tiene alle tradizioni del karate stile Wado Ryu, anche agonisticamente, i cui karateki si sono distinti sul podio del panorama internazionale. La Fesik, invece è la federazione sportiva del Wado Kay, dalle cui fila sono nati ottimi atleti e campioni. Di rilievo è da nominare la FIJLKAM, federazione nazionale molto legata all'aspetto agonistico di tutti gli stili di karate (e arti marziali in genere) oltre che del Wado Ryu, e Wado Kay, producendo atleti di alto livello. Dal punto di vista psico-motorio, il Wado Ryu in generale, considerate le sue peculiarità può essere consigliato a bambini a partire da 5 anni indirizzandoli anche all'agonismo. Anche chi è più maturo, o anziano lo può intreprendere amatorialmente: vista la sua fluidità di movimento, può essere consigliato per tonificare polmoni, diaframma ecc ecc; inoltre nel karate ci si esercita scalzi e questo fortifica la pompa plantare rinforzando il cuore.
Shotokai: Shotokai, Associazione di Shoto, creata dal gruppo di allievi che recuperarono i fondi per la costruzione del dojo Shotokan. Shotokai e Shotokan erano, in origine sinonimi utilizzati dai due gruppi che si allenavano sotto la direzione di Gichin Funakoshi; alla morte di questi il maestro Egami continuò il proprio cammino nello studio del karate mantenendo per il suo stile l'appellativo Shotokai: le due scuole di comune origine andarono cosi differenziandosi. Egami modificò il karate appreso da Funakoshi sotto il profilo tecnico ma continuò a rispettarne le idee basilari privilegiando lo studio del kumite fondamentale a quello libero. Il pensiero del maestro Funakoshi era simile: per lui il vero unico combattimento di karate è per la vita o per la morte, ed è perciò impossibile da praticare in un dojo. Nello Shotokai i colpi vengono portati tutti oltre all'avversario, vicino o lontano che sia. Durante l'allenamento i colpi sono portati alla maggior distanza possibile mantenendo equilibrio e postura corretti. Le anche sono come in altri metodi il punto di forza.
Sempre e solo nell'allenamento si puo' solo avanzare e mai indietreggiare (anche quando ci si difende). In Italia, negli anni passati, si praticava il kumite sportivo. Poi pero' a causa della smania di vincere la tecnica pura veniva eliminata completamente. Si formava quindi gente che era specilizzata in poche o addirittura singole tecniche di kumite sportivo ma che valevan poco per quanto riguardava la conoscenza e l'esecuzione delle tecniche di stile. Nello stile Shotokai il combattimento deve portare alla vittoria con un unico colpo, l'ippon. Senza finte o senza attacchi accennati. A differenza dello Shotokan e di altri stili, oltre al kihon (studio delle tecniche), al kumite di studio e ai kata, si studia anche il midare, un esercizio nel quale si studia l'irimi, il corretto anticipo, il ritmo corretto. Nell'Irimi una persona si difende da un'altra persona avanzando verso questa. Schiva il colpo in maniera molto tecnica e si porta dietro la schiena dell'attaccante pronto a schivare il successivo attacco. Chi attacca deve sempre portare attacchi "sinceri". Nell'irimi gli attaccanti possono anche essere più di uno a seconda della bravura di chi si difende. La forza muscolare non va praticamente mai usata, si sfruttano le anche, il proprio peso ed il corretto anticipo sull'avversario.
Se si dovesse cercare uno stile cinese che richiama la maniera di muoversi attaccare e parare avanzando sempre, si potrebbe trovare nello stile morbido Hsing I. Agli stili di karate citati se ne possono affiancare altri, piu o meno noti, si tratta in genere di personalizzazioni di ottimi maestri che sostanzialmente riconfluiscono negli stili principali, di cui infatti conservano molti elementi.
Goju USA (American Goju): Lo stile Goju USA detto anche American Goju è stato fondato dal Shihan Peter Urban. L'associazione Butokukai, visti i meriti acquisiti in decenni di vita dedicata allo studio delle arti marziali, gli riconobbe il grado di cintura rossa 10° Dan. Grazie al lavoro svolto da Sensei Urban e da i suoi numerosissimi alievi, il Goju Usa si diffuse a macchia d'olio, prima negli States e successivamente in tutto il mondo. Il M° Gianni Rossato di Padova, fu il primo allievo italiano del M° Urban, che introdusse la scuola del Goju Usa nel nostro paese.
Successivamente il M° Rossato chiamò la sua scuola Goju Italia con il consenso del M° Urban. Nel 1959 il M° Peter Urban introdusse il karate Goju Ryu negli USA, e il lavoro svolto successivamente produsse una rivoluzione nel mondo del karate statunitense, per questo da molti fu chiamato 'George Washington' o il 'Padrino del Goju'. Nel 1966 il M° Peter Urban fonda la sua scuola, chiamandola GOJU USA, con il consenso dei suoi precedenti maestri, R. Kim, G. Yamaguchi e M. Oyama. I kata di questo stile sono essenzialmente quelli dello stile Goju-ryu, con alcune differenze.
Il karate sportivo (come Sport da Combattimento) e il karate marziale: Dopo l'inserimento della competizione sportiva, avvenuto nel dopoguerra, si sono sviluppate su scala mondiale due correnti di pensiero antagoniste: una puramente sportiva, l'altra legata alla via delle arti marziali (budo ). La differenza tra questi due concetti di karate risiede nel fatto che il karate sportivo è diretto principalmente alla ricerca del risultato nella competizione: il raggiungimento della medaglia ne rappresenta il traguardo principale; nel karate-do, invece, la competizione sportiva è concepita come un momento di crescita e verifica personale, importante ma non fondamentale: chi non trova soddisfazione nelle gare, ha la possibilità di continuare la pravtica del karate-do facendo della ricerca e del miglioramento uno stile di vita.
Il karate-do, legato al budo, è infatti espresso dal pensiero: la forza di una persona è proporzionale alla lunghezza del cammino percorso nella Via: più lungo è il cammino percorso, maggiori sono le sue qualità. Non avrebbe senso chiedersi quale tra le due diverse forme di karate, sia quella più vera: ambedue esistono e devono coesistere senza predominio dell'una sull'altra, solo la consapevolezza della distinzione però può aiutare il praticante a trovare ciè che egli ricerca nel karate
Sport da Combattimento (https://www.fijlkam.it/karate.html)
Sport da Combattimento (http://www.scuolakarate.it)
Brazilian Ju Jitsu
Il Brazilian jiu-jitsu è un arte marziale e stile di lotta focalizzato in particolare sulla lotta a terra e finalizzato alla sottomissione dell'avversario senza l'utilizzo delle percussioni. La sottomissione (in inglese submission), che può essere uno strangolamento, una leva ad un'articolazione o una presa dolorosa, è la tecnica che costringe l'avversario ad arrendersi ossia ad ammettere attraverso un segnale verbale o fisico (battere con la mano o con il piede sul corpo dell’avversario o sul tappeto) che non può liberarsi dalla presa senza ferirsi e riconoscendo in questo modo la sconfitta. Oltre che con una sottomissione è possibile vincere un combattimento guadagnando più punti tecnici. Si ottengono punti tecnici nella lotta in piedi portando a terra l’avversario e nella lotta a terra conquistando una posizione di dominio o ribaltando l’avversario.
In Italia il Brazilian jiu-jitsu è gestito dalla Federazione Italiana Grappling Mixed Martial Arts (FIGMMA).
Il Brazilian jiu-jitsu è nato in Brasile nella prima metà del XX secolo come evoluzione dell’arte marziale del jiu-jitsu/judo insegnata da vari Maestri giapponesi che emigrarono in Brasile (tra cui Takeo Yano, Mitsuyo Maeda, Soshihiro Satake, Isao Okano e Kazuo Yoshida). In particolare, il Maestro Maeda, allievo del fondatore del Judo Jigoro Kano, lasciò il Giappone nel 1904 e visitò numerosi paesi dando dimostrazioni di jiu-jitsu/judo e sfidando atleti di altre arti marziali, arrivando in Brasile il 14 novembre 1914.
Nel 1916 il circo argentino italiano Queirolo Brothers organizzò a Belém, città dove Gastão Gracie era socio dell'American Circus, degli spettacoli dove si esibì Maeda. Nel 1917 Carlos Gracie, il figlio maggiore di Gastão Gracie, assistette a Belém ad una dimostrazione di Maeda e decise di imparare il jiu-jitsu/judo. Maeda insegno quindi il jiu-jitsu/judo a Carlos Gracie che, a sua volta, trasmise le sue conoscenze ai suoi fratelli. In seguito Carlos si trasferì a Rio de Janeiro dove, nel 1925, fondò la sua prima scuola di Brazilian jiu-jitsu.
Il fratello di Carlos, Hélio Gracie, sviluppò un jiu-jitsu più focalizzato sul combattimento a terra dove, avendo una struttura fisica esile, riusciva meglio rispetto al combattimento in piedi.
Sebbene la famiglia Gracie sia generalmente riconosciuta come la famiglia principale ad aver promosso il Brazilian jiu-jitsu, esiste anche un'altra discendenza di spicco derivata da Maeda attraverso un altro suo discepolo brasiliano, Luiz França che continuò con Oswaldo Fadda. Il Brazilian jiu-jitsu di oggi è quindi il frutto della evoluzione del jiu-jitsu/judo giapponese, insegnato in Brasile dagli immigrati giapponesi, che vi è stata grazie al contributo di molte famiglie brasiliane che si sono dedicate a questa arte marziale integrando valori familiari, stili di vita sani e determinazione per dimostrare la superiorità del Brazilian jiu-jitsu rispetto alle altre arti marziali.
Il 25 aprile 1967 fu fondata a Rio de janeiro, in Brasile, la Federação de Jiu-Jitsu da Guanabara. La Federazione fu istituita, sotto la Confederazione nazionale dello sport, da cinque scuole fondatrici guidate da Hélio Gracie, Alvaro Barreto, Joao Alberto Barreto, Hélcio Leal Binda e Oswaldo Fadda. Il Presidente della Federazione era Helio Gracie, il presidente del Consiglio consultivo era Carlos Gracie, il direttore tecnico era Carlson Gracie, il primo vicedirettore tecnico era Oswaldo Faddda, il secondo vicedirettore tecnico era Orlando Barradas, il direttore dell'educazione era Joao Alberto Barreto e il vicedirettore era Robson Gracie. Oggi, queste persone sono riconosciuti come i grandi Maestri del Brazilian jiu-jitsu.
La fondazione della Federação de Jiu-Jitsu da Guanabara è stato il primo passo per rendere il Brazilian jiu-jitsu uno sport da combattimento e non solo una forma di autodifesa. L'arte marziale del Brazilian jiu-jitsu iniziò ad avere una struttura e un’organizzazione. Nel giugno 1973 il Brazilian jiu-jitsu fu legalmente riconosciuto come sport in Brasile e nel dicembre 1973 la Federação de Jiu-Jitsu da Guanabara organizzò il suo primo campionato, il "1º Torneio Oficial de Jiu-Jítsu do Brasil", ospitato a Rio de Janeiro a la Athletic Association Bank of Brazil. Questo evento ha segnato l'inizio di una nuova era per il Brazilian jiu-jitsu come sport. Dopo il suo riconoscimento come sport e la sua rapida crescita in tutto il Brasile, negli anni '80 il Brazilian jiu-jitsu iniziò a svilupparsi a livello internazionale ma, solo negli anni ’90 acquisì una grande visibilità in tutto il mondo grazie a Royce Gracie, figlio di Helio Gracie, che, ai primi tornei UFC, la promotion di MMA professionistiche più importante del mondo, sconfisse gli atleti delle altre discipline marziali, anche più forti e pesanti, usando le tecniche del Brazilian jiu-jitsu (portare a terra l’avversario e costringerlo alla resa con uno strangolamento o con una leva ad un’articolazione).
Nel 2010 il Brazilian jiu-jitsu era uno sport praticato e riconosciuto in tutto il mondo ma mancava di una Federazione Internazionale che soddisfacesse i requisiti richiesti dal Comitato Olimpico Internazionale (CIO). Con questo obiettivo in mente, un gruppo di Professori di Brazilian jiu-jitsu ed organizzatori di tornei hanno pensato che fosse necessario dedicarsi all'unificazione e alla crescita dello sport e della sua comunità per farlo riconoscere dal CIO e portarlo ai Giochi Olimpici, fondando così la SJJIF (Sport Jiu-Jitsu International Federation). La SJJIF (Sport Jiu Jitsu International Federation) è stata fondata nel giugno 2012 dai Professori di Brazilian jiu-jitsu João Silva, Patricia Silva, Samuel Aschidamini, Edison Kagohara e Cleiber Maia che, con l'evoluzione dello sport e la crescente popolarità in tutto il mondo, hanno ritenuto necessario creare un organismo unificato per dimostrare che il Brazilian jiu-jitsu è uno sport autonomo che può ottenere il riconoscimento del CIO e l'ammissione alle Olimpiadi.
Sport da Combattimento (http://www.figmma.it)
Taekwondo
Taekwondo (pron.: Tecondò) - dal coreano Tae "colpire col piede, kwon "pugno" e do "arte". Metodo di combattimento di antica origine coreana. Praticato sin dal 1° sec. a.C. come arte marziale, il Taekwondo si è affermato come disciplina sportiva di combattimento nella seconda metò del sec. XX, distinguendosi dagli altri sport marziali per la particolare efficacia, dinamismo e spettacolarità delle sue tecniche di gamba (calci circolari ed in volo, calci multipli).
Diffuso in tutti i continenti (210 le nazioni affiliate alla World Taekwondo, 50 in Europa, 70 milioni i praticanti), il Taekwondo è stato ammesso inizialmente come sport dimostrativo ai Giochi Olimpici di Seoul '88 e Barcellona '92, per poi essere inserito come sport olimpico ufficiale dalle Olimpiadi di Sidney 2.000. Gli atleti, divisi per sesso, età e categorie di peso (otto), indossano la tradizionale divisa bianca (dobok) con cintura, sono muniti di protezioni (casco e corpetto) e si affrontano su un quadrato (o su un ottagono) di 8m x 8m.
I colpi validi per il punteggio possono essere diretti solo sul tronco o al volto dell'avversario usando il piede; usando il pugno il solo bersaglio valido è il tronco. Il combattimento, della durata di tre riprese di due minuti ciascuna con 60" di intervallo, è diretto da un arbitro centrale coadiuvato da tre giudici d'angolo. Dai punti validi si aggiungono le eventuali penalizzazioni subite dall'avversario per tecniche proibite (spingere, colpire il viso col pugno, colpire col ginocchio, atterrare l'avversario ecc.). L'incontro di Taekwondo, oltre che con la vittoria ai punti, può concludersi per abbandono, squalifica, K.O., intervento arbitrale.
Le origini del Taekwondo si fanno risalire a circa 2000 anni fa, quando l'attuale Corea era divisa in tre regni. Il più piccolo di essi, Silla, sviluppò e perfezionò un sistema di difesa e attacco che contribuì molto alle vicende storico militari del regno. Anche negli altri regni si diffusero man mano diversi sistemi di combattimento di cui restano ampie tracce in affreschi e pitture murali rinvenute nelle tombe risalenti ai primi secoli dopo Cristo.
Dopo l'unificazione in un solo regno, l'arte del combattimento, che nelle diverse epoche assunse diversi nomi (SUBAK, TAEKKYON, HWARANGDO ecc.), si evolse e diffuse tra la popolazione, diventando molto popolare tra gli usi e costumi locali e nell'addestramento militare.
Sotto l'occupazione giapponese questa arte subì un momentaneo appannamento per il predominio e l'imposizione della cultura del Giappone, ma dopo la liberazione le diverse scuole di combattimento ripresero vigore e negli anni cinquanta si unificarono prendendo il nome definitivo di Taekwondo. Il taekwondo divenne Sport Nazionale (fu inserito nei Giochi Nazionali Coreani fin dall'inizio dei '60) e contemporaneamente iniziò a diffondersi nel mondo, distinguendosi dalle altre discipline per la particolare efficacia, dinamismo e spettacolarità delle sue tecniche di gamba (calci circolari ed in volo, calci multipli).
Sport da Combattimento (https://www.taekwondoitalia.it/)
Judo
I contatti tra i marinai italiani e quelli nipponici, consolidati al tempo della rivolta cinese dei Boxer (1900 come sport da combattimento), favorirono la diffusione delle tecniche di jujitsu anche tra i nostri soldati, incuriositi e affascinati dal modo particolare di combattere all'arma bianca o a mani nude. Domata la rivolta xenofoba, l'Italia ottenne una concessione a Tientsin, allargando così i propri interessi in Estremo Oriente.
Gli entusiastici commenti di civili e militari sulle virtù della lotta giapponese, soprattutto in vista di un suo impiego bellico, convinsero il Ministro della Marina Carlo Mirabello a organizzare un corso sperimentale. Ordinò quindi al capitano di vascello Carlo Maria Novellis di assumere un istruttore di jujitsu a bordo dell'incrociatore Marco Polo, che stazionava nelle acque della Cina.
Dopo molte ricerche Novellis trovò a Shanghai un insegnante che godeva la fiducia del console giapponese. Il 24 luglio 1906 venne pertanto stipulato un contratto di quattro mesi, tempo che il maestro giudicava «necessario e sufficiente per portare gli allievi ad un grado di capacità tale da renderli abili ad insegnare alla loro volta». Il corso si sarebbe svolto a bordo e al termine gli allievi migliori avrebbero sostenuto gli esami al Kodokan.
In ottobre, infatti, i nostri marinai si sottoposero agli esami, ma il risultato fu decisamente negativo. La colpa era del maestro, commentarono al Kodokan: «Pur essendo abbastanza abile, non poteva insegnare ai suoi allievi più di quanto sapesse», cioè non molto, e quindi non aveva mentito assicurando «che in quattro mesi avrebbe portato gli allievi alla sua altezza». Si risolse dunque con una beffa la prima esperienza italiana nella lotta giapponese.
Nel nostro paese la prima dimostrazione di jujitsu eseguita da italiani ebbe luogo a Roma il 30 maggio 1908. Nell’incantevole scenario di villa Corsini, alle pendici del Gianicolo, «due abilissimi sottufficiali di marina diedero una dimostrazione della teoria e della pratica della lotta giapponese». Pochi giorni dopo, evidentemente incuriosito, Vittorio Emanuele III volle che l’esibizione fosse ripetuta nei giardini del Quirinale.
Nonostante il buon esordio, il cammino del jujitsu fu lento e difficile. Infatti, se si eccettua qualche articolo o conferenza e i generosi tentativi del lottatore bresciano Umberto Cristini, della «Via della cedevolezza (o dell’adattabilità)» non si parlò davvero molto in Italia.
Sul finire del 1921, il capo cannoniere di prima classe Carlo Oletti (già imbarcato sull’incrociatore Vesuvio, che sostituì il Marco Polo in Estremo Oriente), fu chiamato a dirigere i corsi di jujitsu introdotti alla Scuola Centrale Militare di Educazione Fisica a Roma. La Scuola, istituita con R.D. 20 aprile 1920, ebbe sede nei locali del Tiro a Segno Nazionale alla Farnesina, segnalandosi subito all’attenzione generale.
Nella speranza di diffondere la disciplina, domenica 30 marzo 1924 i delegati di 28 società o gruppi sportivi civili e militari si riunirono a Roma per costituire la Federazione Jiu-Jitsuista Italiana, presieduta da Antonello Caprino, avvocato e alto funzionario comunale.
Il primo articolo del regolamento tecnico federale riconosceva «quale metodo ufficiale di Jiu-Jitsu, sia per l’insegnamento che per la pratica, il metodo Kano». Il 20 e 21 giugno 1924 alla sala Flores in via Pompeo Magno si disputò il primo campionato italiano: il titolo assoluto fu vinto da Pierino Zerella, esperto di lotta greco-romana, mentre il titolo a squadre andò alla Legione Allievi Carabinieri di Roma.
Malgrado gli sforzi di pochi appassionati, il jujitsu si faceva largo assai lentamente tra il grande pubblico. Tra l’altro, dopo le edizioni del 1924, 1925 e 1926, i campionati italiani erano stati interrotti. E a nulla era servita, nel 1927, la trasformazione della FJJI in Federazione Italiana Lotta Giapponese sotto la guida del dinamico Giacinto Puglisi, presidente della S.S. Cristoforo Colombo. Ritenendo che la disciplina potesse fare un salto di qualità con una spettacolare manifestazione, il 7 luglio 1928 il quotidiano L’Impero organizzò con l’A.S. Trastevere una grande riunione di propaganda nella sala della Corporazione della Stampa in viale del Re.
La manifestazione ebbe un buon successo grazie a due presenze non previste: la partecipazione dell’esperto judoka nipponico Mata-Katsu Mori, che si trovava a Roma in veste di pedagogo presso la famiglia del poeta Shimoi, e – soprattutto – l’intervento del Maestro Jigoro Kano. Questi, venuto a conoscenza dell’iniziativa mentre era a Parigi, non volle mancare all’appuntamento.
Pochi giorni dopo la manifestazione a Trastevere si svolsero alla SCMEF i primi esami per l’attribuzione della qualifica di Maestro. Quindi, nel giugno 1929, si disputò a Roma il quarto campionato italiano. Ma il trasferimento di Oletti a La Spezia nel 1930, nonostante le manifestazioni caparbiamente organizzate dalla Colombo, raffreddò non poco gli entusiasmi. Nel febbraio 1931, per di più, la FILG venne sciolta e la sua attività inquadrata nella Federazione Atletica Italiana, provocando l’inesorabile declino del jujitsu come sport da combattimento.
Solo nel 1947 si ebbe una ripresa dell’attività con la nomina di una commissione tecnica presieduta da Alfonso Castelli, segretario generale della Federazione Italiana Atletica Pesante (già FAI). Il primo campionato nazionale del dopoguerra si disputò a Lanciano nei giorni 1 e 2 maggio 1948. Il III Congresso della FIAP, tenuto a Genova il 16 e 17 ottobre 1948, approvò il nuovo statuto federale, che contemplava tra gli organi centrali il Gruppo Autonomo Lotta Giapponese (trasformato in Gruppo Autonomo Judo nel 1951).
In occasione dell'Olimpiade del 1948, per iniziativa del Budokwai di Londra, fu convocata una conferenza internazionale presso il New Imperial College a South Kensington. Si decise la costituzione dell’Unione Europea di Judo, di cui fu eletto presidente l’inglese Trevor P. Legget, l’unico non giapponese graduato 5° dan.
Il 29 ottobre 1949 si riunì a Bloemendaal, in Olanda, il II Congresso dell’UEJ, che approvò lo statuto e il regolamento tecnico, ripreso da quello del Kodokan. Torti ne divenne presidente, Castelli segretario e la sede venne trasferita a Roma. Ha commentato Alfonso Castelli: «Era la prima Federazione internazionale – anche se modesta – presieduta da un italiano e con sede in Italia, dopo la guerra». Davvero una grande soddisfazione dopo tanti momenti bui. Il IV Congresso dell’UEJ si tenne a Londra il 2 luglio 1951 e diede vita alla Federazione Internazionale di Judo, che elesse Torti presidente e Castelli segretario. Nel settembre 1952, al congresso di Zurigo, la presidenza passò a Risei Kano e la sede si trasferì a Tokyo, ma Torti fu posto a capo della ricostituita UEJ. Il primo campionato europeo si disputò a Parigi nel 1951, il primo mondiale a Tokyo nel 1956.
Nel 1953 venne nel nostro paese il Maestro Noritomo Ken Otani, allora 5° dan (seguito nel 1956 da Tadashi Koike), che contribuì in maniera decisiva allo sviluppo del judo in Italia come sport da combattimento. Il judo maschile è stato incluso nel programma olimpico provvisoriamente nel 1964, definitivamente nel 1972; quello femminile provvisoriamente nel 1988 e definitivamente nel 1992.
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Lotta
La lotta è nata con l’uomo per necessità di sopravvivenza o volontà di dominio, trasformandosi poi in competizione agonistica ed esercizio fisico tra i pù efficaci. Esaltazione della forza, della resistenza e dell’agilità, per Otto Heinrich Jäger era «il più completo e armonioso degli esercizi». La lotta agonistica venne praticata da tutti i popoli già in tempi remoti, ma fu in Grecia che raggiunse il più alto livello di notorietà e di perfezione. Sovrani, condottieri, filosofi, scrittori e artisti la tennero in grandissima considerazione, stimandola una scienza e un’arte, indispensabile per plasmare sia il fisico che il carattere. Non a caso se ne attribuiva l’invenzione agli dei o agli eroi: Atena ed Ermes, Ercole e Teseo. Secondo lo storico Plutarco di Cheronea lo sport più antico fu proprio la lotta (pale), da cui derivò il termine palestra per indicare il luogo di allenamento degli atleti. Per l’ateniese Senofonte, discepolo di Socrate, i Greci avevano sviluppato la loro proverbiale astuzia nel costante esercizio della lotta.
La prima cronaca, dettagliata e palpitante, di un incontro di «dura» lotta risale a Omero, che nel libro XXIII dell’Iliade descrisse con notevole sapienza tecnica il combattimento tra «l’immane» Aiace Telamonio e «il saggio maestro di frodi» Ulisse durante i giochi funebri in onore di Patroclo. Omero ha inserito «l’ostinata lotta» anche nel libro VIII dell’Odissea, tra le gare organizzate dal re dei Feaci Alcinoo in onore di Ulisse.
La popolarità di cui godé la lotta è dimostrata dalla frequenza di citazioni letterarie e raffigurazioni artistiche. Queste testimonianze, sebbene siano spesso frammentarie e talora anche contraddittorie, ci aiutano a ricostruire con buona approssimazione le regole della lotta nel mondo greco. Nei giochi più antichi i lottatori indossavano una cintura, poi si affrontarono completamente nudi, dopo essersi frizionati il corpo con dell’olio di oliva e averlo ricoperto con un sottile strato di polvere. I combattimenti si svolgevano secondo le regole dell’orthe pale (lotta in piedi o perpendicolare) in una buca piena di sabbia per ammorbidire la violenza delle proiezioni al suolo. Per vincere era necessario che l’avversario toccasse per tre volte il terreno con una parte qualsiasi del corpo (per cui il vincitore era detto triakter). Se cadevano ambedue i concorrenti l’azione era ritenuta nulla. La lotta a terra si praticava solo in allenamento o nelle gare di pancrazio, mentre era consentito lo sgambetto.
Dirigeva gli incontri un arbitro munito di una lunga verga che nell’iconografia appare bifida. Essendo le prese iniziali spesso decisive ai fini del risultato, gli atleti cercavano di sfruttarle al meglio per passare all’offensiva o quanto meno per bloccare l’iniziativa dell’avversario. I lottatori venivano sovente raffigurati mentre si afferravano le braccia, con le fronti a contatto: i Francesi chiamano garde ovine questo accostamento delle teste, che fa pensare al fronteggiarsi dei montoni. Platone, che aveva gareggiato a Istmia, scrisse che nella lotta bisognava mantenere l’equilibrio e difendersi da tre tipi di prese: alle braccia, al collo e ai fianchi. Non c’erano categorie di peso, poiché l’abilità veniva considerata preponderante sulla forza, come proverebbe la leggendaria vittoria di Atalanta su Peleo. Si distinguevano, però, due classi di età: i giovani, fino a 18 anni, e gli adulti, oltre i 18 anni, senza limite. A Istmia, a Nemea e alle Panatenee di Atene fu introdotta la classe degli “imberbi”.
Le gare si svolgevano a eliminazione diretta. Gli accoppiamenti venivano sorteggiati dai giudici e se gli atleti erano in numero dispari (all’inizio o in una fase seguente), uno di loro passava direttamente al turno successivo. Costui veniva chiamato ephedros, ossia «che sta seduto». Anephedros era detto chi non usufruiva del vantaggio e doveva sudarsi la vittoria in ogni incontro, ricevendo perciò maggiori riconoscimenti in caso di successo finale. Con il termine aptos s’indicava il lottatore vittorioso in combattimento senza essere mai finito a terra. Anche un successo akoniti («senza polvere») era prestigioso per gli atleti, in quanto vincitori per la rinuncia dell’avversario, che riconosceva così la loro netta superiorità. Secondo queste regole si svolgeva pure la prova di lotta inserita nel pentathlon. La lotta fu introdotta a Olimpia nel 708 a.C. dopo che per 17 volte si era gareggiato soltanto nella corsa. Il più grande lottatore dell’antichità fu Milone di Crotone, discepolo di Pitagora, vincitore 7 volte ai Giochi Olimpici (nel 540 a.C. tra i giovani, dal 532 al 512 tra gli adulti), 7 ai Pitici, 9 ai Nemei, 10 agli Istmici.
Pur privilegiando le corse ippiche e il pugilato, gli Etruschi si appassionarono anche alla lotta, come testimoniano i numerosi affreschi nelle necropoli di Tarquinia e di Chiusi. I Romani non mostrarono meno interesse dei Greci e degli Etruschi per la lotta, se Virgilio scrisse che persino i defunti nell’Elisio si dilettavano a «lottare in fulva arena» (Eneide, VI). La lotta, però, venne essenzialmente considerata un esercizio preparatorio alla guerra e solo in età imperiale assunse il carattere di attività sportiva, ma di tipo professionistico.
Le occasioni per organizzare delle gare di lotta sono sempre state numerose: cerimonie civili e religiose, feste agresti, successi militari, ecc. I premi in palio erano i più svariati, quali terre, oro, cariche pubbliche, simboli di prestigio, la mano di una principessa. Con gli incontri di lotta talvolta si decidevano le sorti di una battaglia, si amministrava la giustizia e si assegnavano i regni.
Tra i numerosi aneddoti sulla lotta viene sovente ricordato quanto accadde nel 1520 al Camp du Drap d’Or. Dopo che i lottatori di Cornovaglia al seguito del sovrano d’Inghilterra avevano sconfitto quelli francesi (privi però dei fortissimi Bretoni), imbaldanzito dal successo, il possente Enrico VIII sfidò Francesco I a lottare con lui, ma al primo assalto venne pesantemente proiettato al suolo dal re di Francia.
Nel ‘400 e soprattutto nel ‘500 si ebbe una notevole produzione di manuali di scherma, in cui la lotta appariva un’integrazione del combattimento all’arma bianca. Con opportune tecniche si avevano molte più possibilità di sopraffare l’avversario: utilizzando prese agli arti, sgambetti, ecc. O ancora, perduta la propria arma, si poteva tentare il disarmo del rivale per ristabilire la condizione di parità. Si ricorda in primo luogo il manoscritto Flos duellatorum (1410), di Fiore dei Liberi da Premariacco, con numerosissimi disegni e didascalie in versi. Tra le opere straniere sono preziosi i tre libri di scherma di Hans Talhoffer (1443, 1459 e 1467) e quello con un centinaio di disegni di Albrecht Dürer (1512). Al XV secolo risale il trattato anonimo De la Palestra (ossia Sulla lotta), il primo testo italiano sulla disciplina, conservato alla Biblioteca Estense. Citiamo inoltre il manuale Ringerkunst (L’arte della lotta), di Fabian von Auerswald, stampato a Wittenberg nel 1539 con 85 illustrazioni del celebre pittore e incisore Lucas Cranach il Vecchio. In queste opere la lotta si liberò finalmente da ogni legame con la scherma.
Verso la metà dell’Ottocento la lotta rifiorì grazie alle spettacolari esibizioni di atleti professionisti che combattevano nelle piazze questo sport da combattimento, nelle “baracche” e nei caffè-concerto di tutta Europa: uomini dalla faccia feroce e dai muscoli d’acciaio, con grandi baffi e dozzine di medaglie al petto. Tra i professionisti italiani vanno ricordati Pietro Dalmasso di Chieri e Basilio Bartoletti di Roma, quindi il triestino Giovanni Raicevich (1881-1957), il più giovane e il più forte di tre fratelli plurititolati. Ottenne la prima importante affermazione al torneo internazionale di Liegi nel 1905 e da allora passò di successo in successo, vincendo i campionati mondiali a Parigi nel 1907 e a Milano nel 1909, confermandosi poi pressoché imbattibile fino al ritiro. Sulle orme di Raicevich il bolognese Renato Gardini (1889-1940) nel catch e il pistoiese Ubaldo Bianchi (1890-1966) nella greco-romana qualche anno più tardi tennero alto nel mondo il prestigio dei lottatori italiani, conquistando entrambi il titolo di campione del mondo.
In Italia la lotta dilettantistica come sport da combattimento ha mosso i primi passi con la Società Atletica Milanese nella palestra di Porta Ticinese, detta "el paviment de giass", che Ernesto Castelli aprì nel gennaio 1899. Lo stesso anno La Gazzetta dello Sport, con l’intento di emulare i giornali sportivi francesi, organizzò il primo campionato italiano: le gare si svolsero in categoria unica al Teatro Dal Verme di Milano e il successo andò a Castelli. Il primo campionato nazionale di stile libero si disputò nel 1930, il primo di lotta femminile nel 1997.
La lotta greco-romana è entrata nel programma delle Olimpiadi moderne già nel 1896, la lotta stile libero nel 1904, la lotta femminile nel 2004.
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